venerdì 25 marzo 2011

Memorie di un povero naso



…e io che ti inseguivo tra i brividi , tra i vicoli tipici,
tra i crini sottili, i rivoli stretti e i cunicoli
tra i legni dei letti, i camini e i merletti
sotto le tegole di tutti i tetti, i fili elettrici e i comignoli
Tu mi sfuggivi tra i filari di viti, tra i pini e gli ulivi, 
tra i fiori dei fichi e dei primi iris
fuggivi qui nella Parigi dei miti e degli odori più fini
dove confondi  Champ Elisèè e i Campi Elisi
Fors'eri in cerca di nuovi lidi, di nuovi nidi,
 di climi più affini ai tuoi profili infiniti
tu profumo raro vecchio bene tra i nuovi mali
in grado, è vero, di dare nuova vita alle mie vecchie nari

RIT: Povero me , io pensavo tra me e me,
respiro fra te e me, morivo per niente,
dimmi dimmi chi non soffre tra sé e sé,
 e chi non crede alle storie e non piange......lo chiedano a me....
……a chi-a chi?… a me, a me.
Strani casi che scrissi in varie frasi a te eclissi dei miei mali dagl’abissi dei miei vasi

Queste vecchie nari, come vecchie madri si
Da sempre in viaggio come vecchie navi
fendendo l’aria qui con becco ed ali
mi hanno dato più il mondo che occhi, orecchie e mani,
niente orchi, veccchi e maghi o pratiche magiche
io chiesi di te alle piante più classiche
ma non ottenni che gli sbadigli dei gigli e dei tigli e il parere unanime delle  pallide lacrime del salice         
tra le nuvole cariche tu guardavi all’Italia, sotto il velo dell’alba intrecciavi cielo e paglia
poi in un momento arrossivi nel vento evidenziando ad un tempo le traiettorie degli insetti nell’aria
hai, hai.. man ricomparve un istante
Scivolavi trale tante cartee i marmi d’arte
apparivi tra  Rue Montpellier, Montaparnasse
 poi sparivi  tra le dalie sui i balconi di Montmatre,
dicevi: non ho partner, non ho parte
qualcuno ne ebbe nausea si ma non Sartre
 tu sei l’odore, amore, dolore di 'sto mendicante,
tu mi perdonerai se  a volte perdo sangue

Ora mi sveglio tra i vicoli, tra 'sti spasmi e miasmi mortiferi
qui il tanfo divora il corpo dei miei sogni effimeri,
so che il mio aspetto delude, che ho bisogno di cure,
nessuno parla con me nemmeno il guardiano del Louvre che chiude
Morivo lasciando un foglio segnato in nota,
parlava di una foglia d’avorio screziata in ocra
e tu svanivi nel tempo e io morivo contento del mio senso intenso e chi non crede più al vento……
lo chiedano a me.....

mercoledì 23 marzo 2011

L'ussaro triste



Rientrava dalla lande d’arme ansante in cuore e gambe,
aveva servito madre Russia nell’esercito di Pietro il Grande,
avanzando piano nel rigore del primo Gennaio
giunse un ussaro russo in sella ad un purosangue baio
Lui era l’ alto rango  del sangue slavo,
negli occhi spurii il lago di sangue dell’assalto di Azov,
aveva corso fuggendo la peste con bestie
in grado di percorrere in due giorni  almeno 200 verste.
Giunse dalle foreste in un’alba di vetro,
ricordava i vecchi boiari dell’epoca prima di Pietro,
i bottoni di rame brillavano sotto i fiocchi e sopra
una barba ampia che iniziava appena sotto gli occhi,
sotto le notti aveva corso tra i bui,
ora lui riconosceva la terra: lei non riconosceva lui,
le riforme avevano cambiato tutto per sempre e il sangue nobile per quanto nobile  non valeva più niente

Nonostante lo sguardo costante,
due lacrime calde rigavano  le guance
Tu  chiedi perché?
Per quanto forte lui non riuscì a non piangere :
 il vecchio mondo è morto e il nuovo tarda a nascere
Nonostante il suo corpo composto,
due lacrime calde rigavano il volto
Domandi  perché?
Per quanto memore d’usi, abusi e regole
nel tempo s’era perso il passo fra due epoche

L’ussaro vide le sue terre d’oriente perse per sempre,
dove il vento increspava i campi di segale verde,
dove l’erba  perenne sommergeva la palude                               
mentre la nebbia spargeva nell’aria odore di fiume.
Rivide i ponti di sassi, i tronchi neri dei frassini,
le foglie chiare delle querce nane e i sorbi selvatici,
il sottobosco mosso dove bastava un raggio solo
per trasformare giallo e rosso in porpora e oro.
Si avvicinò  al villaggio spronando  il sauro appena
poi rallentò al ritmo di chi  falciava l’avena,
con aria fiera, il  petto gonfio come un vela, 
pretendeva il rispetto che era ma nessuno lo riconosceva;
la sua steppa in fiore ove regnava come un signore
ora non era più sua ma terra dell’Imperatore,
che aveva impresso alla sua  terra lo stampo di zar stanco
di guardare a Mosca come seconda Roma o terza Bisanzio
L’ussaro scese dal sauro con fare cortese,
sentì l’odore del lago e accarezzò il baio sul garrese,
a lui pareva palese ricevere omaggi del volgo
ma solo cani e un bifolco storpio gli giravano intorno
Nessuno vedeva o nessuno voleva vedere?
Chi lo temeva come nessuno ora volgeva la schiena,
vide un cosacco suo servo con un collo da cervo
fare a pezzi il suo stemma e gettarlo  per terra in mezzo allo sterco;
vide vicino a  un’ isba di pino una candela di sego
illuminava un bambino che ascoltava un vecchio cieco,
gli raccontava la steppa di un tempo, le miserie e le offese
quando il grano d’un mese rendeva solo poche copeche in monete
"...e il padrone d’un tempo che il demonio  lo porti!!!
Diceva: quel cane rognoso ozioso nobile succhiasoldi
si pensava un signore, si , amato da tutti,
speriamo sia morto di tisi o per mano dei turchi!"
L’ussaro sentì nel cuore bruciare il dolore,
il suo nome nel fango alla stregua di un invasore,
cosi avviò verso il lago senza fretta o timore,
 qualcuno prima lo vide mormorare qualcosa sotto le icone

La bellissima Giulietta



Saranno i tuoi  sorrisi a farmi vivere a lungo
a darmi asilo dentro ai nidi ove le spine  non pungono
a volte basta un sussurro a darti  un sussulto
e il tuo pensiero guarda al  vero percependone il fulcro,
e  tua madre ti bagnò fra le correnti d’acqua chiara
fra imponenti  lave  rilucenti d’ossidiana
e i tuoi occhi d’ambra fra le notti d’angora
chiusi nell’abbraccio di chi sai e chi so che ti ama
Fra  idilli e le linee libere e i lidi ti vidi ridere
ti vidi riunire in fili infiniti le vite simili,
ti vidi apparire in spire di gigli e lapilli nitidi
e questo tuo bel fiorire alla fine mi incise l’iride
Ora il mio senso è scolpito
..e la linea dei tuoi occhi mi porta all’infinito,
mi porta il tuo profilo in fiumi di effluvi
perché dei profumi sai il vento è bandito
Ba-ba-ba-balla e danza
la tua calma calda qui scalda l’aria va
oltre ogni il limbo, oltre e anche più
oltre ogni simbolo, oltre ogni:  no-no-no-no-no-no
Vagando su in altri cieli vedevi i pianeti ai piedi
scrutavi fra i veri beni e sceglievi i cieli terreni
e tu se lo volevi ora hai trovato il tuo astro
e io che non volevo e ora non voglio nient’altro

Non preoccuparti per me non sarò mai più triste
ora ho due soli a illuminare le tratte di Ulisse
tra trame fisse e fitte saprò resistere
la mia gioia di esistere è per la gioia di vederti esistere
Ora tu foglia danzante
la gioia di tuo padre tocca vette alte
emanavi  luce che andò in onde a tutto, propagando ai bordi un vento forte e  asciutto
...e la luna che quel giorno sorse  circa alle cinque
era venuta ad ammirare  le tue pupille vitree e linde
sorte indenni da foreste d’erbe, tre dì prima dell’inizio di inizio Settembre
riflessi nella tua immagine  i magli delle acque diafane
forti di carne fragile, corpo di foglie d’agave
Io già presentivo la gioia prima
che risaliva la roccia viva
Non è né storia né fisica
ma solo meraviglia ed energia purissima:
ciò che è in comune, ciò che accomuna
l’alba di una vita e l’alba di una civitas.              
Venne nell’aria nitida linda come una ninfa
scintillii dagli  abissi tra i prismi all’acqua limpida,
tutto le girava in tondo sotto una stella fissa
Lei si presentò al mondo: era Giulietta la Bellissima