sabato 31 dicembre 2011

Sintesi dei contenuti dell’album “La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane”

1)      Introduzione
2)      Mari infiniti: E’ la testimonianza fantastica di un gruppo di navigatori portoghesi, avventuratisi in mare con il fine di compiere il periplo del globo, molto prima dei più noti colleghi passati alla storia. Si imbatteranno in tutti i pericoli che la navigazione all’inizio XVI° secolo riservava: indigeni ostili, concorrenza spietata, tempeste terribili e morbi sconosciuti.
3)      Anna e Marzio: é una storia di amore e allucinazione. Anna è una donna rimasta vedova con un profondo bisogno di tornare ad essere felice. Un giorno, nella cella del carcere di fronte a casa sua, compare un detenuto nuovo: è bello, affascinante, ama i fiori quanto lei e le promette che una volta uscito viaggeranno insieme.  Con questa canzone ho vinto il Secondo premio del Concorso Nazionale per Cantastorie “Giovanna Daffini” 2010.
4)       Quando venne lei: il racconto ha come protagonista Maurizio che sin da piccolo ha mostrato grande talento per il disegno. Vive in un posto ostile con i genitori che lo sognano impiegato di banca. Maurizio però decide di seguire la sua passione e si trasferisce a Bologna per frequentare l’Accademia. A Bologna tuttavia conoscerà l’eroina che si porterà i via suoi sogni, la sua arte e la sua vita.
5)      Le stesse pietre. Ispirato al romanzo di G.Bedeschi “Centomila gavette di ghiaccio”. Aldo parte nel 1940 per andare a combattere sul fronte del Golico. Lì conoscerà le privazioni, le atrocità e gli orrori della guerra di posizione.  Combattuto dal desiderio di non tradire e quello di scappare via, l’unica soluzione possibile non ammette compromessi.
6)      La collina dei pioppi. Laura e Dino si innamorano sulle colline nel mezzo del secondo conflitto mondiale. Dino entra presto nella Resistenza e quando i tedeschi arrivano in paese vive già in clandestinità da tempo; con Laura si fa vivo sempre più sporadicamente fino a scomparire. Dopo anni di silenzio Laura spera ancora di rivederlo,  nonostante le maldicenze. Un giorno di sole Dino ricompare, è sopravvissuto ad un campo di concentramento ed è tornato per lei.
7)      Scende la sera - Interludio
8)      Martino e il ciliegio. Ispirato alla storia di Prospero Gallinari, tratta dal suo libro autobiografico ”Un contadino nella metropoli”. Martino è cresciuto nella campagna emiliana degli anni ’50 e ’60, fatta di lavoro ed eredità degli ideali resistenziali. Il legame con la terra è forte ma il vento delle ideologie degli anni ’70 di più. Martino vuole partecipare alla lotta di classe e alza il livello dello scontro fino alla scelta della lotta armata.
9)      Le 12 fatiche. E’ la descrizione didascalica delle dodici fatiche che Euristeo ordinò ad Ercole.
10)   L’ussaro triste. E’ la storia di un nobile russo che tornato dalla guerra contro i Tatari si trova di fronte agli effetti della riforma attuata da Pietro il Grande per occidentalizzare la patria. Spogliato dei suoi beni e del suo prestigio, l’ussaro si accorge che mentre era lontano la società e cambiata e ora per lui non c’è più posto.
11)   Falso e Vero. Spesso diamo per scontato che valori, morale, etica siano quelli che la società impone. A volte basta una riflessione autonoma per scoprire che il nostro giudizio può essere diverso. La descrizione di figure come un barbone, una prostituta, un imprenditore di successo ci aiuta a capire questo possibile ribaltamento di prospettiva.
12)   La bellissima Giulietta. Quando ti nasce un figlio pensi che al mondo non ci sia nulla di più importante e bello. Quando te ne nasce un secondo capisci che un’esperienza unica può ripetersi dando luogo ad una gioia che pensavi insuperabile. Alla mia secondogenita ho dedicato questa poesia.

venerdì 23 dicembre 2011

Martino e il ciliegio




….e Martino che da bimbo s’era fatto guerriero
guardò il cielo che da azzurro s’era fatto nero……
Il sole rischiara l’aria, un’alba bianca incanta la terra nativa,
la madre lo chiama  - Martino svegliati - sono le cinque della mattina,
ora che sono in cinque in famiglia si stringe la cinghia in cucina
poi fuori scalzi nei campi con gli altri,  fra i tralci di uva spina.
Martino china la schiena fra i vari agri, nel segno della sua vita
quando nacque suo padre piantò una ciliegio nella cascina,
tramandatisi da avi a padri la dura vita contadina,
ora che sono passati da affittuari a  mezzadri: non  è più come prima.
E’ la Reggio degli anni ’50: campagna e officina,
è ancora attiva la prospettiva della prima cooperativa,
qui vive Martino la sua esistenza ora è pura essenza 
nella terra in cui la cultura della Resistenza è ancora viva.
I racconti dei partigiani, i fratelli Cervi, l’R-60,
la resistenza tradita, i risvolti del piano Marshall.
La storia d’Italia narrata dai vecchi lo incanta
ma in realtà questi vecchi di anni non ne hanno più di quaranta.
Le lotte per il pane, la fame, le lotte operaie senza fine, 
le lotte delle officine  Reggiane… 
la sua gente ha schiena buona e buona coscienza critica,
qui ogni bambino come Martino cresce a pane e lotta politica.

 Rit: come un brivido , come un brivido, sentì  un brivido
…ora Martino è libero ma davvero libero mai…

Martino sale in cima al ciliegio dopo il lavoro e la scuola,
là sopra legge di tutto: Conrad, Froebel, Spinoza…
poi le lotte degli anni di piombo lo investono come bora,
spingono la foga del suo mondo verso una boa nuova e allora
lo ha detto ai suoi: la stalla, l’aratro ora gli stanno stretti,
ora che ha nuovi concetti ha bisogno di nuovi contesti,
saluta in fretta gli affetti più stretti, i compagni più cari,
va a  Milano ottiene un contratto, il contatto con i centri operai.
Prima tra i gruppi dei pari poi dei compari,
poi tra i gruppi dei compagni dei vari gruppi extraparlamentari,
i vari gruppi rivali, i fasci, le stragi, gli spari,
i compagni non vogliono stare calmi qui c’è chi vuole passare alle armi.
Le prime diffide, la cosiddetta “svolta di Pecorile”, le prime rapine e ancora prima
i gruppi studio della Sit Siemens;
lo S.I.M. vive di sfide: lo stato è nemico da abbattere,
Martino combatte finché non s’imbatte nella sbarre dal carcere.
Dal gabbio scrive due righe casa, lì a casa lo piangono,
anche là è cambiato tanto solo il ciliegio è un incanto,
i suoi vecchi si sono trasferiti a S.Candido e intanto
là dove c'erano le cascine ora c’è un camposanto in marmo bianco

Martino è evaso ed è stato scoperto ora è un militante latitante esperto, certo
….superclan  nel gergo.
Sa di lottare per il giusto se nel modo giusto ha qualche dubbio
ma non c’è dubbio che il senso del giusto è nel senso del gruppo….giusto? senza dubbio.
Martino in azione si espone e viene colpito all’addome laddove
sente prima il rumore poi il bruciore del piombo nel cuore,
la vista s’incrina tra i lampi, rivede i suoi campi e la cascina,
tra i tanti sente ancora sua madre : -Martino svegliati è mattina!-.
L’umore di brina si fonde all’odore di sangue e sudore
poi le sirene, un bagliore: Martino muore in poche ore,
sono poche persone a seguire il feretro: la famiglia, il pastore e
sui volti di alcuni non è per la morte il dolore maggiore.
La sua campagna  si contorce mentre ne vede passare il corpo,
sembra pensare: io ti ho cresciuto forte e tu torni da morto!,
là dove è sepolto ogni tomba si scalda d’un sole accanito
e là Martino riposa protetto dall’ombra del suo ciliegio fiorito.

martedì 20 dicembre 2011

Diogene di Sinope e la scuola cinica

La natura del primordio non ammette classi,
e il sovverso crebbe lento nella critica prassi,
io mi innalzerei, immolando dei,
sulle logiche che in Diogene trassi.....
Il cerbero padre dell’Ade generò figli senza vergogne,
peripatetica corte pose la morte sulle sue insegne,
crebbe forzuto negli anni forzando recinti di forgia ateniese,
distrusse tabuiche sostanze figliando consigli che Cratete intese.
Decuplica effetti a lui cari fornendo tettoie e ripari a coscienze,
patetico regno dei morti parrebbe posticcio ponendo parvenze,
il tempo ricusa chi accusa, prefigge ed infligge se per Demonatte
sono  i mercanti che ingrassano a forza i loro più grossi porcelli da latte.
Ritenne pagani contenti gaudenti di intenti e potenti franchigie,
sostenne onanismo e invettiva teorici elogi delle callipigie,
putiferofomentatori: la vita e la morte non furono più cruccio,
strutture cresciute a feticcio, cresciute per forza di impiccio.
Meta che diede mai noia fu usare mannaia sul pel Leviatano,
s’agghinda d’orpelli e gioielli l’infausto sovrano che perde il suo trono,
astanti scherniti e puniti da chi adora miti già morti nel senso,
pragmatico altare prepara già bare sfruttando ragioni fungenti ad incenso.
I servi cantavano strofe sagaci, storie salaci conobbero i Traci,
l’ingrato Aristotele meritò feci rendendo infelici i più cinici greci,
io so che il piacere tradisce promesse, la storia che disfa ciò che il mondo tesse
ma in Sinope visse chi disse e corresse che fesse appagasse chi appena potesse.
La natura cresce dentro all’istinto, il sentiero va da Atene a Corinto,
di pastori non ne urgo, la saliva del demiurgo lavo e purgo nel cinismo convinto;
anacoretoretoricotopica lacera critica d’anomalia,
barbelognostica via, Giocasta e la sua fantasia,
emancipa l’etica l’ottica ludica pelvica l’attica pratica impura
cannibalismo e sozzura, no sepoltura!

venerdì 9 dicembre 2011

Mari infiniti

oltre il possibile c’è l’incredibile:
spingi l’immagine  oltre ogni limite!
No, non ti chiudere, non mi deludere,
spingi il pensiero oltre l’ecumene!
Partimmo ad un’ora buona, là il sole saliva ancora,
noi al soldo di sua signora, la corona di Lisbona,
partimmo con vento in poppa la rotta fuggiva i limiti,
noi il peggio del Sud Europa giù in rotta verso gli antipodi.
Muovevamo oltre il confine, giù in file verso l’ignoto e il nostro  fine
 era riempire le stive di file oro
 nonché scoprirne il contorno, dove il mondo va  a fuoco,
molto prima di Colombo, Cabral e Caboto e Caboto

RIT:
-tu passa i confini, sorpassa i confini,
se passi e li sfidi  non passi e non vivi,
tu passa in confini dei mari infiniti,
là i mali più ostili son fitti e riuniti,
tu passa i confini, tu passa ad altri lidi
comparsi i confini oltre i passi dei libri,
comparsi altri lidi ben oltre i pontili,
se passi e li sfidi trapassi fra i miti

Navigavamo su un brigantino:  vela quadra più vela latina,
il capitano era un assassino, la ciurma melma  marina,
lo giuro non fu una vita ma una sfida al’ira divina,
gli scali, gli  scafi a picco, gli squali nella sentina
passarono mesi, anni: furia d’acqua e calma piatta poi la sabbia e dalla gabbia:
 terra!!….. nell’aria rarefatta…
vidi terre d’altri mondi, gli indigeni senza fede:
i Cinocefali,  gli Astomi, i guerrieri da un solo piede,
con pietre e chele abbattentisi a schiere contro noi fieri battenti bandiera portoghese,
lottammo a stenti per mesi sfidando tutte le truppe:
Aragonesi, Genovesi,  le avanguardie mamelucche,
 vidi i Malesi a luna piena bruciare tra le scialuppe,
le galee in quarantena là al largo delle Molucche
e un male immondo sconosciuto al mondo conosciuto
e i corpi morti, i morti a mollo falciati dallo scorbuto

Nord, Sud, Sud-Est, non c’è merito,
viaggio  in ostaggio all’ago magnetico
Sud-Ovest, sudore e silenzi
quattro quadranti: rosa dei venti.
Ma una sera il capitano guardava e pensava in piedi,
cercò invano di strappare al cielo nero i suoi segreti
poi fece saldare i ponti, condannare i boccaporti,
legammo lance e paranchi con corde da 7 pollici
la furia  ci colse e la tempesta fu addosso,
il mare si mosse, mosse, il mare ci morse,
i marinai con l’ascia in mano tagliavan vele e  pennoni
e quelle vele senza cinghie volavano via come aironi

Vidi arrivare i muri d’acqua con onde da trenta metri,
hai mai fottuto, tu fratello, con onde di trenta metri?,
e il fratello che urlò nel vento: -tu affondaci  se ci riesci!!-
quando finì la frase era sotto già  trenta piedi

giovedì 1 dicembre 2011

Quando venne lei


Mauri aveva un mano fatata, votata al disegno da sempre,
la sua camera era un mare di fogli con scogli di matite e tempere,
nessuno come lui rendeva bene i fiori delle orchidee aperte
 o le foglie delle ninfee che accolgono il volo delle libellule….
Maurizio non aveva una donna e conosceva bene il modo giusto e i percorsi per fuggire da sé:
una matita ed un’onda di forme e contorni che invadevano il foglio eleggendolo Re
ma per quanto lui fosse un animo forte e puro anche il suo polso cedette quando venne lei
e i suoi mondi, i suoi sfondi, i suoi sogni, via ai bordi dei fogli … quando venne lei
in Maurizio era viva e profonda  un’orma lasciata dalla  prova di fuga forse verso gli dei,
quest’orma fonda era somma degli anni trascorsi fra i suoi fogli e colori a sognare fra sé:
 l’infanzia passata chino sui  fogli del tavolino e la mano sua da bambino prodigio,genio creativo tracciava
dentro un profilo lì un rigo color turchino ed un mondo si ergeva vivo tra i fogli di un bimbo schivo
Lui che era nato tra le industrie e le sassaie,
sognava di scappare tra i suoni di un temporale,
suo padre una testa calda, sua madre una  schiena stanca,
da grande lei lo sognava elegante in una banca
Quando lui disse a casa “io vado a vivere d’arte”, sua madre tacque e pianse, suo padre lo prese da parte e poi
gli disse: raccogli i tuoi fogli e i ricordi perché se parti non torni
se parti ti scordi i tuoi soldi ,i tuoi sogni
Quando arrivò a Bologna tutto gli apparve come il cielo in terra,
la conobbe che passava sotto i portici dell’Accademia,
Lei aveva la pelle bianca e gli occhi azzurri e diafani,
la prima volta che gli baciò le braccia lui si perse negli attimi
Lei era molto più di una donna sapeva  cullarlo per vedere altri mondi e poi scordarsi di sé
“Questa tua forza è una bomba” pensava l’artista mentre tutto scorreva e lui viaggiava da Re
ma per quanto lui fosse un animo forte e puro anche il suo polso cedette ….  quando venne lei
e i suoi mondi, i suoi sfondi, i suoi sogni via ai bordi dei fogli :…. quando venne lei
Lei lo cercava come se fosse un vero amore
fra i mercanti dell’estro, nelle Big Bo di Piazza Maggiore
poi fu lui a cercarla in continuazione
Fra i mercati all' aperto, i bistrot, dalla "rive gauche" l'odore
-Quando disse ai suoi fogli “si ora è lei la mia partner”, le sue vecchie carte bianche la sua arte
messa da parte e poi
Lei era così dolce da non poterne fare senza,
lui ne impugnava l’elsa e ne coglieva tutta l’essenza
poi la vide aggirarsi fra le persone della stazione,
vide gli amici di poche ore morire per il suo amore
poi vide  zombi senza più cuore sputare dentro un flacone
e con ‘na dose  di metadone fare 2 dosi di metadone

sabato 22 ottobre 2011

Le stesse pietre



Aldo partì al mattino e sul viso nessun sorriso,
nessuno avviso, nessun rinvio e all’improvviso l’addio al suo nido,
il fronte voleva forze e rinforzi pronti dove il conflitto è vivo,
la fronte sugli occhi smorti di chi è in arrivo verso il confino.
Così salì su un treno stanco che intanto iniziò a marciare,
il volto franco e ancora calmo, caldo dei baci della madre,
il corpo maschio saldo a ogni sobbalzo si lasciava andare,
fuori il paesaggio, in Marzo, declinava fino ad indicare il mare.
Poi fuori a flussi, a flutti, ogni vagone aprì la pancia e via,
soldati a truppe, a ciurme vomitate in terra d’Albania,
vedendo tante vite al fine il cielo allineò le nubi a monito,
sulle file gomito a gomito, verso la  linee del Golico
Fra quei monti alti i lampi bianchi facevan già paura,
erano gli ampi lanci fatti dagli altri dietro ogni radura
-la montagna sappi Aldo ai fatti è  solo roccia dura e pura -
che porta morte ai i tanti fanti infranti  e nega loro sepoltura     

RIT:
-le stesse pietre e lo stesso  sangue,
le stesse pietre lo stesso sangue,
quegli stessi piedi sulle stesse pietre
che se non resti in piedi non rivedi….
-le stesse pietre e lo stesso sangue,
le stesse pietre lo stesso sangue,
quegli stessi piedi,  quelle stesse gambe
sulle stesse pietre con lo stesso sangue… 

E per la prima volta Aldo  vide quelle terre interne,
vide granate come gemme splendere fra le contraeree,
sentì le saette e il vento flettere le tende fra le vette
e  le vedette spegnersi come fiammelle di sete, freddo e febbre.
Prima un bagliore, un suono poi voli via per sempre,
le  bocche di fuoco per un uomo morto sono scie eterne,
vide la morte fra le tende in cerca fra le carni aperte
fra pezzi d’ossa, pelle e bende intrise, divise in grigio e verde.
Un’altra alba abbaglia e scalda cauta di un nuovo calore
e la mitraglia calda canta e scalpita sopra a ogni costone;
qui ogni fossa che per tutti è solo pietra, fango e terra cava
per i soldati è un salto al salvo, casa, sudario e bara.
….e  il tempo passa e niente cambia  ma niente calma,
niente scalda la vana speranza qui niente campa, 
nella questa landa bianca marciano le stesse scarpe
di chi prende e perde le stesse pietre sporche dello stesso sangue

Dopo mesi e mesi tra i cieli gelidi sotto i fuochi accesi,
sotto i tiri tesi dai fucili fieri di Albanesi e Greci,
Aldo e altri rimasti offesi ora sono fantasmi ciechi,
corpi bianchi e scarni, occhi affranti e stanchi, esausti fra le nevi.
….e se prima Patria era un alto richiamo, un’aura chiara,
ora non è niente altro che un ricordo in calo, una speranza rara….
così che un colpo d’arma risuonò fino alla piana
- guarda mamma Sto arrivando: Aldo sta tornando a casa!-


Ispirato al romanzo di G.Bedeschi, “Centomila gavette di ghiaccio”

martedì 7 giugno 2011

Tornava l'albatros

Tornava l’albatros
dopo un inverno eterno, immerso da un pezzo nel riflesso immenso e terso dell’oceano,
tornava allora nell’ora del cielo viola d’aurora
dopo un inverno denso trascorso dentro la noia d’oro d’Europa.
Solo allora planando dai piani alti tra i raggi caldi,
tra i canti degli altri scorgeva i suoi caldi e cari caraibi,
vide le fronde dei manghi, le foglie dei mandorli,
le onde del porto infrangersi di colpo sulle frotte dei granchi bianchi.
Aveva l’occhio dei grandi falchi e planando guardava
mentre la piana esalava l’aroma dolce delle guayabas,
nessun’altra spiaggia chiara chiamava una altrettanta alba,
niente equiparava il panorama della plaza tra le luci della baia.
In quel momento il cielo era argento e smalto, intenso e caldo
poi magenta e arancio e in fondo solo un accento di bianco
e lui contento e stanco ma ancora attento e scaltro
trovava il compenso dei sui viaggi nei villaggi di menta e calicanto.
Ricalibrando vista e udito rivide il suo nido,
si rivide più piccolo nello stesso sito da cui era partito
poi si appoggiava stranito ad un cippo in granito sbiadito,
fradicio in ogni piuma di spuma di salnitro.

RIT:
Forse su, su nel vuoto l’aria sembra la stessa,
ma qui giù  sopra il suolo qui la terra si è persa,
c’è una terra diversa, …..poi, poi, poi….

Ma qualcosa differiva e non era nel clima,
qualcosa  non capiva  rispetto alla prima stima,
lui cercava la vita, la città attiva, la città antica ma
trovò  solo una corte e lì la morte regina,
Tra le case, le piane e i palazzi in rovina,
guardò il viale per la cattedrale, le strade per la capitale,
le stanze delle varie case, stalle, aie, scale,
tra le gabbie di iguane, in ogni nave per la Martinica;
cercò la vita e trovò l’isla deserta,
più a sud, più a sud sempre l’isla deserta:
solo corpi riversi sotto a  posti diversi, divelti,
 l’odore di camelie soffocato della fogna aperta.
Questa sua terra di uomini fieri,
resistente per millenni a bucanieri ed inglesi, si chiese:
-quale male può portare tanto morte per tutto?
quale male sa contare e spinge il carro al crepuscolo?-
Vide i lutti tra la tende di juta,   
pensò fosse il colera a riempire ogni buca,
uno strano colera: variante più arguta
che colpiva alla schiena
con  un colpo di grazia alla nuca

l’albatros, sì, cominciava a capire,
non gli  rimase che patire e partire,
il vento tossiva lui pensava che in fine
peggior male di una terra è la sua guerra civile


 liberamente ispirato al romanzo di G.G. Marquez, "L'amore ai tempi del colera"

venerdì 27 maggio 2011

Piccolo mondo antico pt.II




Avvertì i brividi nitidi rivedendo quel posto:
i raggi obliqui tra i glicini e sulle immense pianure d’orzo.
Il  borgo era avvolto nel sonno
ma lui ne riconobbe ogni bordo, ogni scorcio.
Ma un ricordo è una luce che sopravvive al tempo e sfida  tempo fino a sparire mai
riconobbe ogni metro, ogni spanna
e il ronzio di ogni ape su ogni fiore di salvia.
Quando rivide  la sua casa vide un corpo senz’anima,
la vide invasa e divorata dall’erba  selvatica,
entrò e li rimase nel silenzio più grave
e riuscì ad ascoltare la voce di ogni trave.
si rivide bambino, col fienile di sfondo
quando appoggiava la mano nellla mano del nonno
ed era un cosmo in un cosmo con un moto contiguo
e l’unione delle mani stabiliva il continuum..



sabato 30 aprile 2011

L'uomo che non dimenticava nulla (con Vara)



Sentiva piovere tutto il giorno, oh ma.., tutto il giorno,
solo gocce di ricordi sommergevano il suo mondo poi
bagnavano le strade su cui passano i pensieri,
niente oggi né domani per lui solo i sentieri di ieri.
A chi chiedeva:  non dimentichi mai niente? rispondeva
la mia mente si ricorda tutto e sempre e
chi  mi studia in superficie cerca tare nella psiche
e scopre un uomo che ricorda serie da 60 cifre.
Io non colmo alcune lacune curo e accumulo acume,
la mia mente ha dune e lagune no zone cupe ed oscure,
vedo forme e figure buie alla luce di un lume e di lune,
ho racconti e ricordi raccolti a colpi scure.
Era lui l’uomo sopra il trono del suo regno ipermnesico,
era lui il nuovo uomo dell’impero Sovietico,
chi studiava il suo "io" ne sfidava l’oblio,
ecco l’uomo che ha più storia e più memoria di Dio. 
Risuonava un suono solo solo quando stava solo
poi i ricordi come sfondi riemergevano dal suolo
da sotto stimolo, un assolo libero,
il futuro era il passato ma non è un ossimoro.
Ma un giorno di festa, fuori dalla finestra,
sentì un suono di orchestra, forse quella di Dresda,
prima un vuoto distratto poi uno scatto di testa
poi fu nebbia d’un tratto ed un ritratto in seppia

Vara
E poi nient’altro
che a dirlo sembra nulla e invece è tanto
se non forse tutto,
ora la pioggia si blocca e lui sta all’asciutto
Chi ha memoria così lunga che parte sin dalla culla
ricorda ogni gioia ma pure ogni storia brutta
e la porta dell’oblio quando bussa rimane chiusa,
elusa così ogni scusa, esclusa ogni via di fuga,
resta ostaggio di voci e di facce, di nomi e tracce
e resta il fatto che per affrontarle serve coraggio
No, non c’è montaggio né taglio né selezione né stacco,
 vede l’oltraggio, lo sbaglio, l’esitazione, lo smacco,
 tace in scacco preda di quel miraggio
di cui basta un assaggio per fare di un saggio un pazzo
In pasto dei momenti andati, datati, dati per morti da molti
ma non da lui perché lui non li ha mai sepolti i ricordi,
li ha raccolti e nascosti dietro i suoi occhi,
é solo come un elefante in un mondo di pesci rossi
Poi quel giorno di festa con l’orchestra alla finestra,
nube pesta sulla testa era pronto per la tempesta e invece
silenzio e quiete
l’uomo si chiede: cosa succede?
e poi capisce di colpo come Archimede
E così che mi cambia la vita in questa domenica,
é così che si sente la gente quando dimentica,
e così in comunione con le altre persone cambia espressione,
illuminato come da un raggio di sole

venerdì 15 aprile 2011

La collina dei pioppi



Si conobbero al primo imbrunire sul finire d’Agosto
là sul sentiero sottile che dalle colline svaniva nel bosco
Laura aveva 20 anni e il sorriso gentile della gente del posto,
lui lavorava nei campi  sui palmi l’odor del trifoglio.
Fu lì che si videro in viso al confino tra un pioppo ed un olmo,
Dino aveva un profilo fino e un corpo scolpito nel bronzo,
quando la vide all’improvviso le disse per aprirle il suo mondo
"Sai quand’ero bambino pensavo ci fosse un sole nuovo ogni giorno.."
lei nascose il volto per sorridere di nascosto
ma ciò che le disse il suo polso era che quello era più di un incontro
e se già la seconda guerra del mondo infuriava tutt’intorno,
i loro occhi fermi e il mondo che girava tutt’in tondo .
Laura e Dino: tra i tanti belli e poveri : unici
lui figlio di un ciabattino, lei che era la terza di undici,
adesso avevano tutto e non avevano niente
Sapevano non sarebbe stato semplice ma sarebbe stato per sempre

Tu quanti anni mi dai? quanti giorni mi dai? Non so quanto vivrò, tu  quanto tempo vivrai?
-glielo disse  alla sera anche parlando fra sé-    
che tu mi veda o non veda  sarò sempre con te.
Tu quanti anni mi dai, quanti giorni mi dai, quanto, quanti….heiii...
sai, da adesso alla fine, sali sulle colline, io sarò li con te, te, te, te ,te…

Laura aveva gli occhi di fata e Dino non era fatto per fare il suddito
tant’è che entrò nella resistenza  praticamente subito
Quando vennero i fasci a cercarlo una sera era
già coi nostri nei boschi in attesa della primavera
... così fu destino: Dino si fece vivo sempre meno,
se veniva a trovarla da clandestino la portava in un covo segreto
e il giorno volava nascosti tra  albero ed albero
mentre il campanile in paese suonava le ore dell’Angelus
poi venne Novembre e Dino pareva sparito per sempre
e in Dicembre una neve insistente cadde all’arrivo delle truppe tedesche.
Laura attese paziente e vide sghiacciarsi il torrente
e ad Aprile vide il bosco vagire e gonfiare le gemme.
Si rincorsero voci e ognuna diceva qualcosa
“Dino è stato colpito, ha cambiato vita ora ha un donna nuova e la sposa
Dino è scappato a Londra e ora trama nell’ombra
Dino ha tradito è passato con i fasci, ora lavora giù a Roma”
Ma Laura anche se non sapeva, sapeva una cosa:
il suo Dino era vivo e l’amava tanto ora come allora,
 il pensiero di lui si muoveva nell’aria costante,
  dalle cime  alla valle,  fino  ai nidi di rondine sotto i tetti delle stalle
e le diceva fra i venti: non turbarti perché, perché…
anche se tu non mi vedi io sarò sempre con te, con te con te.
Laura non chiese ma tenne fede, speranza e ragione,
la chiamarono pazza, malnata, malata d’amore
ma lei col dolore nel cuore non aveva voluto nessun’altro,
lui stava tornando, lo aveva scritto dentro inciso sul marmo
Era un giorno più caldo e il vento inseguiva le scie delle lepri,
il sole di Maggio era alto e aveva già passato lo zenith,
una sagoma lontana venne fra i germogli tra i boschi:
un uomo smagrito, patito con una barba di mille giorni.
Era tornato Dino, “il tempo è un pianto che non si recupera”,
sul braccio scarno un numero alto degli internati di Buckenwald
ma negli occhi lo stesso chiarore, la stesso sorriso
le disse : non so se fa lo stesso ma io sono sempre lo stesso
 lì ricominciò il cammino e vissero intensamente,
videro rinascere l’Italia insieme nel C.L.N
e  insieme vissero  anni  finchè lui un sera si spense
ma poco prima le prese le mani e le disse sorridente:

Tu quanti anni mi dai? quanti giorni mi dai? Non so quanto vivrò, tu  quanto tempo vivrai?
-glielo disse  alla sera anche  parlando fra sé-    
che tu mi veda o non veda sarò sempre con te.
Tu quanti anni mi dai, quanti giorni mi dai, quanto, quanti, quanti…..
sai ,da adesso alla fine, su qualunque confine io sarò qui con te, te, te ,te…

Storia di Gino

E’ un’alba calda e Gino corre per la strada
perché a soli 9 anni è una staffetta partigiana
Vive a pieno, non ha freno, si stende e guarda il cielo
poi respira a piene nari e l’aria sa di tiglio e fieno
Perché i veri nazi neri lui non li ha mai visti,
porta nuove sù ai G.a.p. che spa-ra-no ai fascisti
Lui sente, 'stà giovane mente, che non c’è futuro sicuro ma il suo pugno è chiuso
e se crede cresce, lui corre e non cede, più forte ogni mese, la morte lo insegue
su e giù tra case e chiese, su e giù tra strade piene
fino a dove l’erba bassa cede il passo a pietra e neve 


No, no... Gino non sente, non sente più : "..caricare!" poi "...ricaricare!"
Gino non sente più niente,  non sente più il clic-click sul manico, il fucile carico
No, no... Gino non sente, non sente più : "..caricare!" poi "...ricaricare!"
Gino non sente più niente, è stato colpito prima alle gambe e alle tempie poi...

La resistenza non ha standard né target:
nove anni, tre fratelli e un solo paio di scarpe,
di sera la stalla poi di giorno la strada poi
di notte giù la testa sotto i colpi di bengala.
Tu be-be-bene bada che be-be-bene vada,
lui vorrebbe i fasci morti come a Guadalajara
ma qui chi guarda impara col clic qui chi arma spara
però il vero male umano non lo ammazzi mai!
Ma un giorno nero ricordato tra i più pesi
l’arrivo nei paesi della divisione Goering:
alle rebellen haben sic scnict
zu ervarten als den tod!!
Gino vide piani e sedi poi  mise le ali piedi
poi corse tra i sentieri ad avvisare i suoi guerrieri,
quel giorno il suo ardore bagnò il manto al futuro
e il sangue invasore bagnò il grano maturo

Paolo ha un anno in più conosce Gino da anni,
stessa storia, stessa scuola, stessa vita nei campi
I genitori di Paolo, produttori vinicoli,
non sono fascisti ma di ambienti limitrofi si...
In cambio di due cocci, di due soldi e due bossoli
Paolo ha detto ai fasci: “Gino sta con i rossi!
I suoi posti, i suoi boschi, i compagni commossi
tutto questo Gino ha visto in un lampo negli occhi
Il sole rise e soffiava un vento fine
quando tutto vide fine lì lì da fine aprile
....... cos’è rimasto di Gino?
Un cippo in marmo vivo eretto in cima all’Appennino

mercoledì 6 aprile 2011

Anna e Marzio



Anna guardava i suoi fiori come si guardano i figli,
esposti al sole in via  Solgenitsin  numero 15,                                 
il suo balcone fra i tigli era un giardino pensile
fitto di gigli ed ortensie, pollini e resine dense 
Viveva sola da tempo in un appartamento del centro
di fronte al carcere sorto all’interno al vecchio convento,
da quando il marito s’era spento in inverno,
aveva perso la voglia di guardarsi dentro e sentirsi meglio
Ora sognava una altra vita, un’altra aurora,
Anna bello sguardo che ogni giorno perde qualcosa,
sognava un nuovo amore che la portasse altrove
 e le ridesse ancora la gioia di non  morire sola.
Marzio arrivò nell’ora di un pomeriggio di maggio,
tradotto da Regina Coeli nel braccio n 4,
lei lo vide d’un tratto e fu incanto mentre bagnava le dalie, 
lui con la chioma amaranto intanto sorrideva alle guardie.
Marzio Febbraro, figlio di un’operaio,
era stato fabbro, fioraio e soprattutto ladro,
soprattutto ladro, diceva, più che di cose di cuori,
"..i migliori anni io li ho spesi appresso a donne e fiori!"
Anna annaffiava le ginestre

di fronte alla cella corrispondente per seguirne i racconti 
lui amava dirle:
"se le case hanno gli occhi nelle finestre
beh....le  tue bella mia piangono tutti i giorni.."
RIT
Prendi le viole più belle…..- diceva lui- 
...vieni, vieni con me,
io e te insieme per sempre... -diceva lui-
.....vieni, vieni con me.
ma quan-ti so-no i fio-ri ?  ehh...se ne ho visti
son quanti i cuori soli … ehhh... se ne ho visti

Marzio la incantava intrecciando parole,
pareva un attore in azione, un Adone dietro le sbarre rugginose
e lei che lo ascoltava adorante per ore mentre un sole sornione
allungava l’ombra della prigione fino al balcone
diceva di sé: "tu ti fidi me? puoi fidarti di me...
si, si... ho fatto qualche errore ma adesso so cosa voglio"
Le chiedeva: "non ti fidi me ? vuoi fidarti di me?
ti porterò con me laddove fiorisce il mondo...                                            
Vedremo tulipani e lavanda fra i vari fiumi d’Olanda
i bulbi rari tra i mulini bianchi della Mancia,   
fra i rosai di Samarcanda o di Francia, 
le ginestre giganti nei grandi giardini de Bahia Blanca...
Vedremo l’alba tra i gelsi, i rododendri ed incensi intensi,
i mandorli in fiore tra le felci della valle dei templi,
lì gli arcobaleni e gli steli sono accomunati dall’indaco
come i sentieri ai piedi della moschea azzurra di Instanbul...
E nessuno potrà separarci, bella mia,
perché saremo 2 cuori allo specchio nello stesso momento del tempo
e nessuno potrà liberarti di me perché tu vedi quello che vedo
e  adesso senti e quello che sento"

Passò un anno più un anno e Marzio finì di scontare la pena,
era il mese di Marzo e fuori già si allungava la sera,
"Aspettami fuori domani sera sarò fuori per cena",
a lei rideva di gioia la bocca e con gli occhi piangeva
Anna arrivò puntuale all’orario previsto,
aveva una giacca in misto lino e sul viso un sorriso bellissimo,
attese paziente sotto un fico fiorito in anticipo
ma per quanto attese fece mattino senza averlo visto.
Dopo ore di attesa Anna volle capire il destino assurdo
così triste e tesa si rivolse al secondino di turno
gli chiese di Marzio descrivendogli il tipo,

Signora mia, qui questo Marzio Febbraro non è mai esistito...."